Psicologo - Psicoterapeuta LGBTQI+

Lasciate che lo dica chiaro e forte: le persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender hanno gli stessi diritti umani di qualunque altra persona.

Cosa vuol dire LGBTQI+?

Fino agli anni sessanta, anni in cui si osservò quella che fu definita la cosiddetta Rivoluzione Sessuale, non vi era una terminologia generalmente riconosciuta per descrivere la non-eterosessualità. L’acronimo LGBTQI+, dunque, coniato in epoca moderna, ha lo scopo di enfatizzare la diversità delle culture basate su sessualità e identità di genere, ed ha come finalità quella di non discriminare nessuno e di includere ogni tipo di sessualità.

L’iniziale sigla LGBT è ormai entrata nel dibattito mediatico (meno nel lessico quotidiano). Nel corso del tempo, alla sigla originale LGBT, si sono aggiunte altre lettere ad indicare altri orientamenti sessuali e identità di genere. Questo è stato possibile dal progresso dei gender studies che, semplificando, si occupano di studiare come nel tempo, nella storia e nella cultura si siano modificate e siano andate a definirsi sia le identità femminili e maschili che le nuove identità di genere.

LGBT: le prime quattro lettere

Con la sigla LGBT si indicano solitamente le persone che non presentano una sessualità eterosessuale, cioè che non sono attratte unicamente dalle persone dell’altro sesso, e le persone non cisgender, cioè coloro che non si identificano con il proprio sesso biologico. Questo include persone lesbiche (L), gay (G), bisessuali (B) e persone trans (T), cioè coloro che si identificano con un genere diverso da quello del sesso di nascita.

Da tempo, ormai, le differenti definizioni di sesso (determinato dalle caratteristiche anatomiche) e genere (determinato dalla percezione che ciascuno ha di sé) sono diventate note ed accettate anche al di fuori dell’ambito scientifico o accademico. Ancora oggi, però, c’è ancora confusione tra termini come “transgender” e “transessuale“; due termini che vengono spesso utilizzati come sinonimi, o peggio, come sostantivi.

In molte circostanze, alla base dello stigma e della discriminazione che genera confusione, esiste una dimensione linguistica profonda e difficile da scardinare che genera disordine e che può avere ricadute pesanti sul piano affettivo e psicologico di coloro che si sentono appellati in un certo modo. 

LGBTQI+: le lettere venute successivamente

A partire dal 1996 alla sigla LGBT si aggiunse la lettera Q di “queer“. Questo termine fu a lungo utilizzato per esprimere una connotazione dispregiativa, ma successivamente è stato rivendicato ed adottato dalla comunità LGBT, dagli studi e dalla politica queer

Oggi il termine “queer“, che significa letteralmente “strano“, “bizzarro“, “eccentrico“, ma anche “diagonale“, “di traverso” ed è usato principalmente da quelle persone che non si riconoscono nelle tradizionali definizioni usate per gli orientamenti sessuali e per le identità di genere.

Queer, dunque, è usato per esprimere dissenso verso l’eteronormatività (la convinzione che quello eterosessuale sia l’unico orientamento legittimo) e il binarismo di genere (la convinzione che esistano soltanto il genere maschile e quello femminile).

Oltre alla Q di queer, alla sigla LGBT è ormai spesso aggiunta la I di “intersessuale“, cioè una persona con caratteristiche fisiche diverse da quelle tradizionalmente associate a maschi e femmine. Le persone intersessuali sono spesso associate alla comunità LGBT, anche se di per sé l’intersessualità è una condizione fisica che può benissimo coincidere con l’eterosessualità e la cisessualità.

Negli ultimi anni, inoltre, vi è stato un acceso dibattito tra chi chiedeva che venissero aggiunte altre lettere per rappresentare altri orientamenti sessuali nella sigla; come ad esempio la lettera A di “asessuale” per indicare una persona che non prova attrazione sessuale per nessun genere (attualmente vi è un aperto dibattito per definire se sia un orientamento sessuale o piuttosto una mancanza di orientamento sessuale) e la lettera P di “pansessuale“, un termine spesso confuso con bisessuale. Una persona pansessuale prova attrazione indipendentemente dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.

LGBTQIAP non è comunque la versione più estesa della sigla LGBT. Ad ogni modo, per evitare di escludere alcuni orientamenti o identità di genere dalla sigla si usa LGBTQ+, o talvolta LGBTQI+.

Discriminazioni e conseguenze per la comunità LBGTQI+

Fino agli anni sessanta, anni in cui si osservò quella che fu definita la cosiddetta Rivoluzione Sessuale, non vi era una terminologia generalmente riconosciuta per descrivere la non-eterosessualità.

L’acronimo LGBTQI+, dunque, coniato in epoca moderna, ha lo scopo di enfatizzare la diversità delle culture basate su sessualità e identità di genere, ed ha come finalità quella di non discriminare nessuno e di includere ogni tipo di sessualità.

Nonostante negli ultimi anni siano stati fatti generali passi avanti nel campo dei diritti umani, è possibile riscontrare ancora atti di discriminazione nei confronti degli individui che appartengono alla comunità LGBTQI+. Ogni anno, infatti, sono ancora molte le persone che subiscono abusi a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere. Spesso, inoltre, i numeri conosciuti non riflettono la realtà effettiva del problema in quanto ci si basa sulle denunce fatte e sugli avvenimenti segnalati dai media. L’avversione o la diffidenza nei confronti delle persone che compongono la comunità LGBTQI+ deriva dalla preoccupazione per un eventuale disordine sociale rispetto a rassicuranti assegnazioni binarie ed eteronormative.

Un fondamento dell’omofobia e della transfobia, infatti, consiste in una sorta di polarizzazione difensiva dei ruoli di genere, che porta a temere o disprezzare i fantasmi di passività e di dipendenza nell’uomo e di attività ed autosufficienza nella donna. Si tratta di credenze fortemente influenzate da stereotipi di genere, ma terribilmente efficaci nel lasciare pregiudizi ed a generare discriminazioni. L’omofobia e la transfobia, dunque, possono avere ripercussioni a breve e lungo termine sulla salute psichica e fisica delle persone della comunità LGBTQI+. Tale condizione di sofferenza e di disagio, infatti, è potenzialmente costituita da tre dimensioni che si interscambiano e si potenziano vicendevolmente: