Psicologo Psicoterapeuta | Dott. Stefano Ricotta

Dipendenze e disturbi correlati a sostanze

Cosa si intende per dipendenze?

Oggi le dipendenze sono sempre più in aumento, al punto che il DSM-V non separa l’abuso o la dipendenza da sostanze, ma sono state fuse nell’unico disturbo da uso di sostanze misurato su un continuum da lieve a grave.

Inoltre le dipendenze patologiche fanno riferimento sia all’uso di sostanze che a “forme di dipendenza senza sostanza” come:

La dipendenza correlata all’uso sostanze fa riferimento a diverse classi di sostanze differenti:

“La storia dell’umanità è di fatto connessa con l’uso di piante, di liquori e di materiali organici in grado di determinare stati di alterazione di coscienza o ancora di aumentare e potenziare le prestazioni fisiche ed intellettive, quasi che l’uomo, resosi conto dell’estrema limitatezza delle sue capacità, tentasse in tutti i modi di spingersi “oltre” quei limiti.” (L.Lewis, Il grande manuale delle droghe, 2009)

Le sostanze psicotrope, dunque, permettono all’uomo di dare forme insolite alle proprie sensazioni; nel tentativo, a volte sentito come bisogno, di poter determinare una variazione del proprio stato soggettivo.

Perché si ricorre all'uso di sostanze?

Si fa spesso uso di sostanze per modificare la percezione di sé e della realtà circostante. 

Soprattutto gli adolescenti sostengono di aver bisogno di far uso di sostanze per poter sentire le loro emozioni. Questo bisogno di sentire le proprie emozioni, però, si può tradurre in una ricerca compulsiva di sempre nuove emozioni, rischiando che ciò diventi il modo più immediato – a volte l’unico modo – per vivere l’esperienza. Un tutto e subito che annulla il tempo dell’attesa e che impedisce l’interiorizzazione dell’esperienza stessa.

Luigi Zoja, psicologo junghiano, parla della dipendenza come “una patologia generazionale”, in cui il passaggio ad un’identità adulta è sempre meno definito e marcabile. Pertanto, l’uso e l’abuso di droga e delle nuove forme di dipendenza, soprattutto nei più giovani, possono essere non solo espressione di una condizione giovanile frustrante, ma anche del bisogno di passare all’età adulta. 

Sempre secondo Zoja, infatti, la persona dipendente percepisce un fallimento personale in tale processo, non tanto per la modalità di assunzione della “sostanza” in sé, ma proprio da quel consumismo (sostanza, oggetto sessuale, internet) che conduce alla negazione e alla non ammissione di rinunce, depressioni, spazi psichici vuoti.

La dipendenza come tentativo di autocura

Senza escludere che un elemento caratterizzante le compulsioni da dipendenza risiede in una spinta autolesiva e autodistruttiva, quello che si potrebbe sostenere è che, all’interno di questa dimensione dominante, ci sia anche un paradossale tentativo di autocura

Tutti noi quando siamo stressati scarichiamo le nostre tensioni nell’azione: mangiamo, beviamo e fumiamo di più; ma può dirsi dipendente chi fa questo con continuità ed in preda ad una compulsività che lo sottomette.

I fini raggiunti procurano rapidamente un senso di benessere, anche quando l’individuo può sentirsi di esserne schiavo e possono rappresentare, ad un grado estremo, gli unici scopi in grado di dare un senso alla vita.

Ciò proviene dal fatto che gli atti dipendenti (l’assunzione della sostanza) permettono di dissipare in tempi quasi immediati ogni senso di ansia, depressione e rabbia, di conseguenza illudono, ripetendoli, che si possa attenuare gran parte delle esperienze angoscianti.

L'importanza di un lavoro psicoterapeutico

Il lavoro analitico, dunque, ci permette di considerare la dipendenza non come una malattia, ma come un sintomo psichico.

Lo specifico lavoro psicoterapeutico in questo ambito può proporsi come possibile costruzione di “luoghi di transizione“, dove i singoli individui possono finalmente dar voce a quel soggetto nascosto presente in ognuno di loro. All’interno di uno spazio protetto ed un tempo definito, la persona dipendente ed il terapeuta possono trovare le strategie e le motivazioni per poter interrompere quel circolo virtuoso invalidante.

"La relazione terapeutica, infatti, si fonda sull'esserci del terapeuta con il suo valore personale e con il suo senso etico che lo rende capace di contemplare il bene del paziente. La vita di un terapeuta è una vita di servizio in cui ogni giorno trascendiamo i nostri desideri personali e volgiamo lo sguardo alle necessità e alla crescita dell'altro. Traiamo piacere non solo dalla crescita del nostro paziente, ma anche dall'effetto domino e reazione a catena, l'influenza salutare che i nostri pazienti hanno su coloro con cui vengono a contatto nella vita."

L'uso di sostanze nuoce anche ai propri familiari

Quando un membro della famiglia ha un problema di uso/abuso di sostanze, anche tutti gli altri componenti ne subiscono le conseguenze.

L’uso di sostanze stupefacenti crea un grande stress a genitori, fratelli e/o sorelle, ai partner e a tutti i componenti del nucleo familiare, spesso amici compresi.

Quando qualcuno della famiglia fa uso di sostanze:

I membri della famiglia potrebbero incorrere in numerosi litigi a causa dei problemi derivanti dall’uso di sostanze.

Chi fa uso costante di sostanze stupefacenti non ritiene di essere dipendente (magari perché l’uso si focalizza unicamente nel fine settimana) e crede di avere la situazione sotto controllo; per questo motivo non cerca un aiuto terapeutico. Non si rende conto dei problemi che causa a sé stesso e a coloro che lo circondano.

Altri, invece, riconoscono di avere una dipendenza e hanno consapevolezza del loro problema, ma talvolta sono sconvolti e confusi da non sapere a chi chiedere o come ricevere aiuto.